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Vietato il conferimento di incarichi privati a dipendenti pubblici senza autorizzazione della PA

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Vietato il conferimento di incarichi privati a dipendenti pubblici senza autorizzazione della PA

Con la Sentenza n. 38314 del 3 dicembre 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito che il conferimento di incarichi privati ai dipendenti pubblici è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica in capo al datore di lavoro privato circa la qualità del lavoratore.

IL FATTO- La Corte d’Appello di Firenze, in conformità alla sentenza del Tribunale di Pisa, aveva accolto l’opposizione di una società cooperativa avverso l’ordinanza con la quale era stata sanzionata per avere conferito incarichi lavorativi ad alcuni dipendenti della P.A., in assenza di apposita autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza (richiesta dall’art. 53, comma 9, del D.Lgs. n.165/2001). In particolare, secondo il giudice d’appello, la normativa non prevedrebbe un obbligo del datore di lavoro privato di indagare sulla qualità del soggetto cui conferisce l’incarico, sicché sarebbe sufficiente ad esonerarlo da ogni responsabilità il fatto che il lavoratore ometta di riferire la sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.

Avverso tale sentenza, l’Amministrazione ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo la sussistenza di uno specifico onere di indagine a carico del datore di lavoro privato circa lo status del lavoratore.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE- La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione in quanto, come già affermato in precedenza «in tema di pubblico impiego privatizzato, l’esperimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte dei dipendenti della P.A. è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica dell’assenza delle condizioni che ne impongono la richiesta posto a carico dell’ente pubblico economico o del datore di lavoro privato (…), senza che detta verifica possa essere surrogata dalle dichiarazioni dei lavoratori che attestino la superfluità dell’autorizzazione, in quanto inidonee ad elidere la colpevolezza della condotta del conferente». Pertanto, risulta erronea l’affermazione della Corte d’Appello che ha escluso la responsabilità della cooperativa «per il solo fatto che i lavoratori avessero taciuto la loro qualità di dipendenti pubblici, producendo l’iscrizione alla partita IVA, ma sul presupposto che la norma sanzionatoria applicata non preveda uno specifico dovere di controllo a carico del datore di lavoro privato, e sostenendo che fosse invece onere della stessa PA avvedersi dell’illegittima attività posta in essere dai propri dipendenti». In conclusione, l’onere di indagine a carico del datore di lavoro non può «esaurirsi nel rimettersi unicamente a quanto eventualmente dichiarato sponte sua dal lavoratore».

Il testo completo della decisione può essere estratto dal sito della Corte cliccando qui.

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