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Retribuzione dovuta per il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa di lavoro

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Retribuzione dovuta per il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa di lavoro

Con Ordinanza n. 8627 del 7 maggio 2020 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha chiarito che in ambito medico il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa dev’essere ricompreso nell’orario di lavoro e, quindi, retribuito.

IL FATTO- Un numero elevato di dipendenti, tutti infermieri dell’ASL, ricorrevano innanzi al Tribunale competente per sentire dichiarare come compreso nell’orario di lavoro e, quindi, retribuito, il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa, all’inizio ed alla fine del turno, calcolato in venti minuti complessivi. Il Tribunale accoglieva il ricorso.  La Corte di Appello rigettava il gravame interposto dall’ASL, ritenendo che, «pur tenendo conto del mancato intervento sulla specifica questione della contrattazione collettiva applicabile in azienda e della mancanza di una specifica regolamentazione aziendale …, il personale infermieristico deve necessariamente indossare e dismettere la divisa di lavoro, per intuibili ragioni di igiene, negli stessi ambienti dell’azienda prima dell’entrata e dopo l’uscita dai relativi reparti, rispettivamente, prima e dopo i  relativi turni di lavoro»; e che «la Cassazione, con giurisprudenza costante … ha affermato che nel rapporto di lavoro subordinato il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria».

LA DECISIONE DEL COLLEGIO- La Corte di Cassazione ha preliminarmente affermato che i Giudici aditi sono pervenuti alle decisioni uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte in materia, per cui «l’attività di vestizione attiene a comportamenti integrativi dell’obbligazione principale ed è funzionale al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria e costituisce, altresì, attività svolta non (o non soltanto) nell’interesse dell’Azienda, ma dell’igiene pubblica, imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene. Pertanto, dà diritto alla retribuzione anche nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, in quanto, proprio per le peculiarità che la connotano, deve ritenersi implicitamente autorizzata da parte dell’AUSL».

Ad avviso del Collegio l’orientamento giurisprudenziale di legittimità «è saldamente ancorato al riconoscimento dell’attività di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno. Tale soluzione, del resto, è stata ritenuta in linea con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva 2003/88/CE».

Sulla scorta di tali principi, dunque, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della parte datrice.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Ordinanza n. 8627 del 2020

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