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Pubblico impiego: sul trattamento retributivo spettante in caso di passaggio ad altra amministrazione

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Pubblico impiego: sul trattamento retributivo spettante in caso di passaggio ad altra amministrazione

Con la recente ordinanza n. 20918 del 30 settembre 2020, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, in conformità con la linea dettata dalla Corte di Giustizia Europea, ha ribadito i principi di diritto più volte affermati in tema di passaggio di personale nell’ambito della Pubblica Amministrazione.

Ebbene, in caso di passaggio da un’Amministrazione ad un’altra, come già rilevato dalla stessa Suprema Corte con la sentenza n. 4193/2020, ai dipendenti sono garantiti la continuità giuridica del rapporto di lavoro ed il mantenimento del trattamento economico.

Quanto al trattamento economico, laddove questo risulti superiore a quello spettante presso l’Ente di destinazione, dovrà ritenersi operante la regola del riassorbimento al ricorrere di miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti proprio per effetto del trasferimento.

Ciò in ragione del principio generale fissato dall’art. 31 del D.lgs. n. 165/2001 secondo cui il passaggio di personale comporta l’inserimento del lavoratore nell’ambito di una diversa realtà organizzativa ed in un differente contesto di regole normative e retributive, immediatamente applicabili al rapporto di lavoro: non può quindi trovare applicazione la momentanea ultrattività del contratto collettivo applicato dal cedente, essendo questa evenienza limitata – a norma dell’art. 2112 c.c. – alla sola ipotesi in cui il cessionario non abbia recepito alcun contratto, eventualità esclusa nel pubblico impiego contrattualizzato (vedasi anche, Cass. n. 6756/2020 e 19303/2015).

 

Difatti, in assenza di una specifica previsione normativa, per gli Ermellini è necessario contemperare il principio di irriducibilità della retribuzione con quello di parità di trattamento dei dipendenti pubblici stabilito dall’art. 45 del succitato Decreto Legislativo.

Come anticipato, tale lettura risulta aderente a quanto affermato a livello sovranazionale in termini di interpretazione della direttiva 2001/23, applicabile anche agli enti pubblici: secondo la CGUE la direttiva in parola mira ad assicurare, in caso di trasferimento d’impresa, il giusto equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli del cessionario, con quest’ultimo che non può essere vincolato da “una clausola di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e stipulati dopo la data del trasferimento” laddove non “abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti” (Corte di Giustizia cause 18/07/2013 C-426/11 Alemo Herron e 27/04/2017 C-680 e 681/15 Asklepios).

Nel caso di specie, pertanto, i Giudici di legittimità hanno ritenuto destituita di ogni fondamento la pretesa dei ricorrenti – mirata alla continuità della disciplina del rapporto di impiego da parte della contrattazione per il personale della Presidenza dei Consiglio dei Ministri pur dopo il passaggio alle dipendenze del Ministero delle Infrastrutture – in quanto contrastante con i principi di diritto più volte affermati (ed appena richiamati), da ritenersi affatto derogati dalla previsione della conservazione dello “stato giuridico ed economico in godimento”.

Ed infatti, come specificato dalla Suprema Corte, con tale ultima espressione il Legislatore non ha inteso cristallizzare la disciplina dei rapporti del personale trasferito né fissare un regime speciale rispetto a quello generale di cui all’art. 31 del D.lgs. n. 165/2001, bensì esclusivamente ribadire la continuità dei rapporti – con mantenimento del livello retributivo raggiunto, dell’anzianità e della qualifica – al fine di salvaguardare la posizione già acquisita dal lavoratore e così scongiurare mutamenti in peius della professionalità e del trattamento economico.

Per leggere la pronuncia, clicca qui: Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 20918 del 30/09/2020.

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