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Ricordando con rabbia, Rude Boy

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Ricordando con rabbia, Rude Boy

Da sempre il cinema inglese ha raccontato attraverso immagini crude e nervose le istanze lavorative, magari coraggiosamente quelle più proletarie, le ultime, le dimenticate da un governo cieco e da una middle class sempre più indifferente. Look Back in Anger non è soltanto il titolo di una piéce di John Osborne o il manifesto dei giovani arrabbiati, ma potrebbe essere la perfetta definizione di un certo cinema inglese che ha cominciato a raccontare delle condizioni lavorative in modo disincantato proprio dalla seconda metà degli anni ’50 con il movimento del Free Cinema sino ai più conosciuti territori dell’ultimo Ken Loach. Ricorda con rabbia appunto, e non si può dimenticare un film che con il lavoro sembra non c’entrare poco o niente: Rude Boy (1980), visto recentemente all’ultima edizione del Festival di Torino è apparentemente un film documentario di 133 minuti sulla band The Clash diretto da Jack Hazan e David Mingay. Come ci spiega l’ineccepibile Wikipedia: «Il nome deriva dalla subcultura Rude Boy sviluppatasi in Giamaica negli anni sessanta […]. Il film racconta la storia del londinese Ray Gange che lasciò il suo lavoro in un sexy shop a Soho, Londra, per lavorare durante i tour dello storico gruppo punk rock band The Clash. Nel film sono riprese, tra l’altro, le tappe del Sort It Out tour, la registrazione dell’album Give ‘Em Enough Rope, e l’apparizione della band al concerto di Rock Against Racism del 1978». Chi è Ray Gange? Un semplice groupie, prima ancora fan del gruppo, un Sid Vicious, senza l’aurea da star, un ultimo degli ultimi, un buono a nulla. Cos’è il rock se non come e più del cinema una messa in pratica della morte al lavoro? Cos’è la rockstar, per quanto impegnata socialmente, se non l’ultimo effetto di quel peterpanismo in cui la volontà di crescere e responsabilizzarsi viene inchiodata su quattro note, alle volte solamente tre? Ma è in questa apparenza di non lavorare, ultima ribellione vacua e confusa contro quel tacherismo lugubre e disperante che il cineasta Hazan ci mostra gli ultimi reperti archeologici della società industriale di matrice ottocentesca attraverso cioè la bocca sdentata di Joe Strummer, nonostante il nostro oltre che rockstar fosse figlio dell’alta borghesia, o più autenticamente il corpo e la salivazione dello sbronzo Gange. E la moquette anni ’70 vista nel film potrebbe benissimo confondersi con quella degli anni ’60 però più sporca e vomitata dentro, degna testimone (in)organico di quel non luogo chiamato lavoro. Ed ecco che  Rude Boy parlando di altro ci descrive la società inglese della fine degli anni ’70 e del suo lavoro nella sua messa in abisso, in quella volontà di sfuggirne, ma in quel corpo (in quei corpi?!) di giovani perdigiorno ma deformati che disvelano involontariamente le fatiche lavorative dei propri genitori.

Dott. Domenico Monetti 
(Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale)

Nel video il Trailer originale

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