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Il lavoratore lasciato in condizioni di forzata inattività va risarcito

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Il lavoratore lasciato in condizioni di forzata inattività va risarcito

Con la Sentenza n. 31182 del 2 novembre 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito che la negazione o l’impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento, determinano un pregiudizio professionale e relazionale suscettibile di risarcimento.

IL FATTO- La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda di un lavoratore volta ad ottenere il risarcimento del danno alla professionalità subito per effetto della totale deprivazione delle mansioni.

Avverso la decisione d’appello, il lavoratore ha promosso ricorso per Cassazione.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE- La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso poiché «la negazione o l’impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato, con una indubbia dimensione patrimoniale che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa». Difatti, in capo al lavoratore sussiste «non solo il dovere ma anche il diritto all’esecuzione della propria prestazione lavorativa, cui il datore di lavoro ha il corredato obbligo di adibirlo».

In conclusione, il comportamento del datore di lavoro che lascia in condizione di forzosa inattività il lavoratore, ancorché in mancanza di conseguenze sulla retribuzione e pur se non caratterizzato da uno specifico intento lesivo, viola l’articolo 2103 c.c. e lede il diritto al lavoro, «inteso soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino, nonché della professionalità del dipendente».

Il testo completo della decisione può essere estratto dal sito web della Corte cliccando qui.

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