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La disciplina sul contratto a termine è “normativa di ordine pubblico internazionale”

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La disciplina sul contratto a termine è “normativa di ordine pubblico internazionale”

Con Ordinanza n. 22932 del 13 settembre 2019 la Suprema Corte, Sez. Lavoro, ha ritenuto che anche quando le parti ritengano di dare applicazione ad una legge estera, trova applicazione la legislazione italiana se questa si pone come normativa di ordine pubblico internazionale.

IL FATTO – In una controversia azionata da un lavoratore che aveva svolto la propria prestazione lavorativa in Italia ma aveva pattuito con il datore l’applicazione di una legge estera, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano e dichiarava la nullità dei termini apposti ai contratti a termine, con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e conseguente condanna del datore a corrispondere al dipendente le differenze retributive.  Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione il datore di lavoro.

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE – Confermando la giurisdizione del giudice italiano, la Sezione Lavoro della Suprema Corte ha ritenuto che nonostante le parti avessero scelto negozialmente di applicare la legge inglese al rapporto lavorativo, si applicasse nella specie la normativa italiana, sul presupposto che la legislazione italiana in materia di contratto a termine ante 2001 ha natura di “normativa di ordine pubblico internazionale”.

Poiché, ad avviso del Collegio, il primo contratto veniva stipulato sotto la vigenza della legge n. 230 del 1962, e quest’ultima esprimeva la preferenza del legislatore per il contratto a tempo indeterminato (salvo particolari e limitate eccezioni ), la Suprema Corte ha dunque concluso per l’applicabilità nella specie della legge italiana rispetto a quella prevista dalle parti, dichiarando la nullità del primo contratto a termine con conversione del rapporto lavorativo in uno a tempo indeterminato.

La Suprema Corte ha dunque rigettato il ricorso del lavoratore.

Testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. lavoro, Ordinanza n. 22932 del 2019

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