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Dirigenti: sul diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute

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Dirigenti: sul diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute

Con la Sentenza n. 15952 dell’8 giugno 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui «il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto alla indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive».

IL FATTO – La Corte di appello di Roma, in conformità alla sentenza del locale tribunale, aveva rigettato la domanda di un dirigente pubblico volta ad ottenere l’indennità sostitutiva di ferie non godute, essendo emerso che i giorni di ferie e permessi non erano stati usufruiti per volontà del lavoratore che non aveva dato riscontro agli inviti avanzati in tal senso dal datore di lavoro. In particolare, l’elevata posizione ricoperta dal lavoratore, assimilabile a quella di dirigente, gli attribuiva la possibilità di scegliere quando andare in ferie in relazione alle esigenze di servizio; tuttavia il lavoratore non aveva fruito del periodo di riposo annuale e non aveva provato la sussistenza di esigenze aziendali assolutamente eccezionali ed ostative al godimento delle ferie.

Avverso la sentenza d’appello, il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE – La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la decisione del giudice d’appello, fondata sul richiamato principio secondo cui «il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto alla indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive». Tale principio trae origine dal divieto di monetizzazione in virtù del quale «il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro», volto a garantire l’effettivo godimento delle ferie.  L’eccezione a tale divieto «opera nei soli limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione del rapporto, e non consente la monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti, perchè rispetto a queste il datore di lavoro doveva assicurare l’effettiva fruizione». Ciò non lascia peraltro privo di tutela il lavoratore che «sia in corso di rapporto che al momento della sua risoluzione, potrà invocare la tutela civilistica e far valere l’inadempimento del datore di lavoro che abbia violato le norme inderogabili sopra richiamate». Tuttavia, per far valere tale inadempimento, è necessario che «il mancato godimento delle ferie sia derivato da causa imputabile allo stesso datore di lavoro; questa condizione non si verifica nel caso in cui il lavoratore, per la posizione apicale ricoperta nell’azienda, pur avendo il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia, senza condizionamento alcuno da parte del titolare dell’impresa, non lo eserciti; in detta ipotesi, infatti, salva la ricorrenza di imprevedibili ed indifferibili esigenze aziendali, la mancata fruizione finisce per essere la conseguenza di un’autonoma scelta del dirigente, che esclude la configurabilità di un inadempimento colpevole del datore».

Il testo completo della decisione: Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n.15952/2021

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