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Cassazione: mancato riposo settimanale, il danno non è in re ipsa

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Cassazione: mancato riposo settimanale, il danno non è in re ipsa

La sentenza 23624 del 22 novembre 2010 si segnala per la presa di posizione assunta dalla S.C. di Cassazione in merito alla mancata fruizione del riposo nel giorno festivo.
Il tema era stato già affrontato e risolto, in senso sostanzialmente opposto, dalla giurisprudenza di merito (soprattutto quella torinese, investita in più occasioni della questione in relazione alla mancata fruizione di riposi da parte del personale turnista).
La pronuncia del 22 novembre ribadisce l’insussistenza, secondo i principi del nostro ordinamento giuridico, di un danno risarcibile in re ipsa in ragione degli imprescindibili oneri di allegazione e di prova che gravano sul soggetto che vanti pretese risarcitorie, come già chiarito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 26972/08 e poi confermato dalla Sezione Lavoro con la successiva pronuncia 3677/09.
Sul tema della mancata fruizione dei riposi si segnala, in senso del tutto conforme alla pronuncia in commento, l’indirizzo espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza 3967/09, secondo il quale per “il risarcimento del danno non patrimoniale per usura psicofisica, ovvero per la lesione del diritto alla salute o del diritto alla libera esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana” occorre la prova e l’ allegazioni, sia nell’an che nel quantum, del pregiudizio subito”.

Giulia Camilli – Avvocato in Milano Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro

 

 

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  R.G.N. 33744/2006
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE        35106/2006
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI    Federico                           – Presidente  –
Dott. PICONE     Pasquale                      – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe                           – Consigliere –
Dott. CURZIO     Pietro                             – Consigliere –
Dott. MANCINO    Rossana                            – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 33744/2006 proposto da:
F.A.,                 C.M.G.,  domiciliati  in  ROMA,
PIAZZA   CAVOUR,  presso  LA  CANCELLERIA  DELLE  CORTE  SUPREMA   DI
CASSAZIONE,  rappresentati e difesi dall’avvocato  FARINA  Grazietta,
giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
P.G.;
– intimata –
e sul ricorso 35106/2006 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliata  in  ROMA,  VIA  LUIGI
LUCIANI  1,  presso  lo  studio dell’avvocato  XXX,
rappresentata  e difesa dagli avvocati XXX,  XXX, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
C.M.G.,            F.A.;
– intimati –
avverso  la  sentenza n. 217/2006 della CORTE D’APPELLO di  CAGLIARI,
depositata il 11/08/2006 R.G.N. 1/2006;
udita  la  relazione  della causa svolta nella Pubblica  udienza  del
26/10/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE PICONE;
udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.
MATERA  Marcello,  che  ha  concluso per il  rigetto  di  entrambi  i
ricorsi.
PREMESSO IN FATTO
1.   La   sentenza  di  cui  si  domanda  la  cassazione,   decidendo
sull’appello  di               F.A. e di                   C.M.G.
contro le decisioni del Tribunale di Nuoro 24.2.2005 – non definitiva
–  e  1.7.2005  –  definitiva  -,  in parziale  riforma  della  prima
decisione,  accerta  che il rapporto di lavoro  subordinato  tra  gli
appellanti  e                P.G., quale  collaboratrice  domestica
convivente, era intercorso dall’aprile 1992 al febbraio 2000  (e  non
fino  a  maggio  2000  come  disposto dalla decisione  appellata)  ed
esclude  altresi’ il diritto della    P. al risarcimento del  danno
nella  misura  di  Euro 10.000,00 riconosciuto dal giudice  di  primo
grado.  Rigetta  l’appello contro la sentenza definitiva  recante  la
condanna  in  solido degli appellanti al pagamento  in  favore  della
P.  di  Euro  55.203,22,  nonche’  alla  regolarizzazione  della
posizione previdenziale.
2. La Corte di appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari  –
ritiene comprovato – da presunzioni e deposizioni testimoniali –  che
la     P. avesse instaurato, convivendo con i coniugi       F.  –
C.,  un  rapporto  di  lavoro subordinato  domestico,  dovendosi
escludere  la riconducibilita’ delle prestazioni ad una relazione  di
natura   affettiva;   accerta   che   la      P.   aveva   lavorato
continuativamente,  senza  fruire  di  ferie  e  di   riposto   nelle
festivita’;  esclude che vi fosse prova del diritto  al  risarcimento
del  danno,  ulteriore rispetto alla rivalutazione monetaria  e  agli
interessi   legali,  derivante  dall’inadempimento  dell’obbligazione
retributiva.
3.  Vi  e’  ricorso principale di             F.A. e          C.M.
G.  articolato  in sette motivi, ulteriormente  precisati  con
memoria   depositata  ai  sensi  dell’art.  378  c.p.c.,  e   ricorso
incidentale   della   resistente,  mediante   controricorso,      P.
G., articolato in tre motivi
RITENUTO IN DIRITTO
1.  Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti  contro  la
stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2.  Il  primo  motivo  del  ricorso  principale  denuncia  violazione
dell’art.  2729  c.c.  e  art.  116 c.p.c.,  unitamente  a  vizio  di
motivazione,  per avere la sentenza impugnata ritenuto comprovata  da
presunzioni  la  pretesa  della     P.  pur  in  presenza   di   un
comportamento  processuale  di questa  (fatti  allegati  nel  ricorso
introduttivo  poi accertati come contrari al vero) che  escludeva  il
requisito della gravita’, precisione e concordanza degli indizi.
2.1. Il motivo e’ inammissibile perche’ risulta formulata una censura
generica,  espressa  in  termini  astratti  e  priva  di  riferimenti
concreti  ai  fatti  che  sarebbero stati ritenuti  provati  mediante
presunzioni.
3.  Il  secondo motivo denuncia violazione di norme di diritto (artt.
2094  e  2697  c.c., artt. 116 e 244 c.p.c.) e vizio di  motivazione,
perche’   le   prestazioni   di  lavoro  domestico   in   regime   di
subordinazione,  a giudizio del giudice del merito,  sarebbero  state
provate  in  base ad una inesistente presunzione di onerosita’  ed  a
deposizioni testimoniali che si limitavano a riferire di quanto aveva
raccontato la    P..
3.1.  Con il terzo motivo, gli stessi vizi denunciati con il  secondo
motivo  sono  riferiti  all’omessa considerazione  delle  deposizioni
testimoniali  che, unitamente a quanto poteva desumersi dalle  pagine
del   diario  della     P.,  prodotte  nel  giudizio  di   appello,
dimostravano come la pretesa domestica fosse trattata come persona di
famiglia, non obbligata ad alcuna prestazione lavorativa se  non  nei
limiti   di  una  collaborazione  volontaria,  mentre  con   assoluta
prevalenza le faccende domestiche erano svolte proprio dalla    C.,
peraltro anche coadiuvata dai suoi familiari che trascorrevano lunghi
periodi presso la sua casa.
3.2.  Con  il  quarto  motivo e’ censurato per vizio  di  motivazione
l’accertamento  secondo cui, nei due anni precedenti il  rapporto  di
lavoro  dedotto  in  causa,  la     P.  gia’  aveva  lavorato  come
collaboratrice domestica per due-tre ore settimanali e l’affermazione
che  la circostanza costituiva indizio della natura subordinata anche
del   secondo   rapporto.   Si  deduce  che  l’accertamento   risulta
incongruamente  fondato  sul mero fatto che la     P.  frequentasse
l’abitazione dei coniugi e sulla mancata contestazione dei convenuti,
mentre  in  realta’ la contestazione vi era stata e dalla deposizione
del  teste           G. risultavano circostanze idonee ad escludere
qualsiasi attivita’ di lavoro subordinato.
3.3.  Il  secondo,  terzo  e quarto motivo  devono  essere  esaminati
congiuntamente nell’ambito di un discorso unitario.
Esito  dell’esame e’ il giudizio di non fondatezza dei motivi secondo
e terzo e di inammissibilita’ del quarto.
3.4.  Si osserva in diritto che la piu’ recente giurisprudenza  della
Corte  precisa  che,  in  presenza di prestazioni  di  attivita’  che
oggettivamente  siano  riconducibili al lavoro subordinato,  si  deve
presumere  che  l’esecuzione  trovi titolo  nel  contratto  tipico  a
prestazioni   corrispettive  di  cui  all’art.  2094   c.c..   Questa
presunzione puo’ essere superata fornendo la prova dell’esistenza  di
vincoli  di  solidarieta’  ed affettivita’, alternativi  rispetto  ai
vincoli  tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, idonei  a
costituire  la  causa  di prestazioni gratuite  (Cass.  7/8/2008,  n.
21365; 26/1/2009, n. 1833).
In  particolare,  e  con  specifico riferimento  alla  collaborazione
domestica  prestata in situazione di convivenza,  l’esistenza  di  un
rapporto  a  prestazioni corrispettive deve essere  escluso  solo  in
presenza  della dimostrazione di una comunanza di vita e di interessi
tra  i  conviventi (famiglia di fatto), che non si  esaurisca  in  un
rapporto  meramente spirituale, affettivo o sessuale,  ma  dia  luogo
anche  alla  partecipazione, effettiva ed equa, del  convivente  alla
vita  e  alle risorse della famiglia di fatto (vedi Cass. 27 dicembre
1999, n. 14579; 13 dicembre 1986, n. 7486; 16 giugno 1978, n. 3012).
In  conclusione,  in  via  generale,  ogni  attivita’  oggettivamente
configurabile come prestazione di lavoro deve presumersi effettuata a
titolo  oneroso,  ma  puo’ essere ricondotta ad un  rapporto  diverso
istituito  affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato  dalla
gratuita’  della prestazione, ove risulti dimostrata  la  sussistenza
della  finalita’ di solidarieta’ in luogo di quella lucrativa,  fermo
restando  che  la  valutazione al riguardo compiuta dal  giudice  del
merito  e’ incensurabile in sede di legittimita’ se immune da  errori
di diritto e da vizi logici (vedi Cass. 20 febbraio 2006, n. 3602).
3.5.  A  queste  regole  di  diritto si  e’  conformata  la  sentenza
impugnata  e  i relativi accertamenti di fatto sono giustificati  con
motivazione sufficiente e logica.
I  fatti accertati, infatti, hanno condotto il giudice del merito, da
una   parte,  ad  affermare  che  erano  state  rese  dalla      P.
prestazioni oggettivamente corrispondenti allo schema del  lavoro  di
una  collaboratrice domestica convivente; dall’altra,  ad  escludere,
applicando correttamente i principi di diritto sopra enunciati e  con
ragionamento    logicamente   plausibile,   che   fosse    comprovata
l’instaurazione  di  quella  comunanza di  interessi  che  attrae  il
rapporto nell’orbita del vincolo di solidarieta’.
3.6.  In  relazione al primo degli indicati accertamenti,  rileva  il
giudice  del  merito  che la prova testimoniale (in  particolare,  le
deposizioni dei familiari della    P. e di un’assistente sociale in
ordine  a  quanto riferito loro dalla    P. stessa, ma anche  altri
elementi  acquisiti  alla causa) dimostrava che la     P.  svolgeva
lavori  domestici  ed  accudiva  due bambine  in  una  famiglia  dove
entrambi i coniugi lavoravano.
In  ordine  al  secondo,  osserva  che:  non  vi  era  alcun  vincolo
familiare; l’inserimento nello stato di famiglia dimostrava  solo  la
convivenza,  mentre  la decisione di accogliere la     P.  in  casa
perche’  bisognosa di aiuto e l’intento altruistico  che  ne  sarebbe
stato alla base non assumevano rilevanza ai fini della qualificazione
del  rapporto;  i fatti riferiti dai alcuni testimoni  (arredo  della
camera  della     P., piccoli doni, partecipazione  alle  attivita’
proprie  della  famiglia come incontri, feste,  pranzi,  ecc.,  aiuto
prestato   dai   familiari   dei  coniugi         F.   –      C.,
collaborazione di un’amica di famiglia per l’accompagnamento a scuola
delle   bambine  con  autovettura,  l’esonero  da  alcune   attivita’
domestiche  che la    C. si riservava), se dimostravano un  intenso
vincolo   affettivo  originato  dal  rapporto  di   convivenza,   non
escludevano  l’obbligo di curare le bambine (esigenza che  richiedeva
la  partecipazione della    P. alle diverse attivita’ familiari)  e
di occuparsi delle faccende domestiche richieste dalle esigenze della
famiglia.
3.7.  Si  deve pertanto concludere nel senso che le censure formulate
con  i  primi due motivi non hanno fondamento perche’ il giudice  del
merito ha preso in esame tutti i fatti rilevanti acquisiti alla causa
e  li  ha valutati in modo logicamente plausibile, cosi’ da sottrarre
la motivazione al sindacato di legittimita’.
Resta  assorbito  l’esame del terzo motivo in quanto  concernente  un
punto  che,  alla  stregua  di quanto osservato,  non  assume  valore
decisivo,  restando  irrilevante ai  fini  della  qualificazione  del
rapporto  dedotto  in  causa  che  nel  periodo  precedente  la   sua
costituzione  vi fossero state o non prestazioni di lavoro  domestico
per due-tre ore settimanali.
4.  Con il quinto motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art.
2697 c.c., e vizio di motivazione, la sentenza impugnata e’ censurata
per  aver  riconosciuto il diritto della    P. al compenso  per  il
lavoro prestato nelle domeniche e negli altri giorni festivi, pur  in
assenza   di   qualsiasi  elemento  di  prova,  nonche’  il   diritto
all’indennita’ sostitutiva delle ferie, in contrasto con la prova  di
numerosi periodi di vacanza fruiti dalla    P..
4.1. Il motivo e’ fondato.
E’  pacifico  nella giurisprudenza della Corte che il lavoratore  che
agisca  in  giudizio per chiedere la corresponsione della  indennita’
sostitutiva delle ferie non godute, oppure dei compensi per il lavoro
prestato nei giorni destinati al riposo settimanale e in altri giorni
festivi,  ha  l’onere di provare l’avvenuta prestazione di  attivita’
lavorativa  nei detti giorni, atteso che l’espletamento di  attivita’
lavorativa  in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo  di
effettivo lavoro annuale o settimanale si pone come fatto costitutivo
dell’indennita’ suddetta, mentre incombe al datore di lavoro  l’onere
di  fornire  la  prova del relativo pagamento (Cass.  22/12/2009,  n.
26985; 16/02/2007, n. 3619; 20/03/2004, n. 5649).
4.2.  A  quanto  principio non si e’ attenuta la  sentenza  impugnata
omettendo  di individuare fatti che potessero dimostrare, anche  solo
in  via  presuntiva, il lavoro prestato in eccedenza,  limitandosi  a
desumere la violazione del diritto alle ferie e al riposo settimanale
e  festivo  dalla “messa a disposizione delle energie lavorative  per
l’intera giornata, in ogni giorno compresi quelli festivi, escludendo
altresi’   che  brevi  interruzioni  del  rapporto  (viaggi,   raduni
dell’azione  cattolica,  ecc.) comprovassero  la  regolare  fruizione
delle  ferie  e di pause, onde la prestazione lavorativa  ben  poteva
dirsi “ininterrotta”.
Si  tratta, all’evidenza, di un’affermazione le cui basi restano  del
tutto indefinite, non potendosi trarre dalla continuita’ del rapporto
di  lavoro  la  conseguenza della prestazione resa senza interruzione
per  ferie  e  riposi,  affermazione  che  finisce  in  sostanza  per
invertire l’onere della prova.
5. Con il sesto motivo e’ denunziata violazione degli artt. 279 e 324
c.p.c., vizio in cui sarebbe incorsa la sentenza definitiva per avere
statuito anche in ordine all’obbligo dei coniugi       F. –    C.
di   “regolarizzazione  dell’aspetto  assicurativo  e   previdenziale
dell’intero rapporto”, sebbene questo obbligo non fosse compreso  nel
dispositivo della sentenza non definitiva, che rinviava al definitivo
esclusivamente la determinazione del quantum.
5.1. Il motivo non e’ fondato.
La  sentenza  non  definitiva  aveva  accertato  la  sussistenza  del
rapporto di lavoro subordinato e gli obblighi che ne derivavano  (tra
i   quali,   sia   pure   solo   in   motivazione,   l’obbligo   alla
regolarizzazione previdenziale). Proprio il fatto che nel dispositivo
non  fossero  menzionati gli obblighi previdenziali e  assistenziali,
consentiva al giudice di precisarli nella sentenza definitiva,  quale
conseguenza   degli   accertamenti  contenuti  nella   sentenza   non
definitiva, dovendosi escludere qualsiasi contraddizione tra  le  due
decisioni.
6.  Con  il settimo e ultimo motivo del ricorso principale si afferma
che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi e comunque omesso
di  motivare sul perche’, una volta riconosciuto il carattere oneroso
del  rapporto,  le  diverse  attribuzioni patrimoniali  pacificamente
ricevute  dalla    P. (numerosi “regali”, pagamento del  conto  del
dentista  per  L. 1.700.000; spese per l’abbigliamento, “mance”)  non
dovessero essere considerate di natura retributiva.
6.1.  Il  motivo e’ fondato perche’ il giudice del merito  ha  omesso
qualsiasi  valutazione  su questa deduzione difensiva  (subordinata),
che  trova  il  suo fondamento nel principio generale (espresso,  sia
pure  in materia di contribuzione previdenziale e assistenziale dalla
L.  n.  153  del 1969, art. 12) secondo cui le erogazioni qualificate
come  liberali  del datore di lavoro ai propri dipendenti  non  hanno
natura  retributiva a condizione che: a) non sussista  alcun  obbligo
rispetto  ad  esse a carico del datore di lavoro; b)  le  elargizioni
siano concesse per eventi eccezionali e non ricorrenti; c) non vi sia
alcun collegamento, neppure indiretto, tra le elargizioni stesse e le
prestazioni lavorative. …;
7.  Con  i  primi due motivi del ricorso incidentale  si  domanda  la
cassazione della sentenza impugnata per avere, in violazione di legge
(artt.  2, 3, 4, 32 e 36 Cost., artt. 20423 e 2087 c.c.) e con  vizio
di  motivazione,  respinto  la  domanda  di  risarcimento  del  danno
derivante   dall’inadempimento   dell’obbligazione   retributiva   ed
ulteriore   rispetto  alla  rivalutazione  agli   interessi   legali,
trattandosi di danno derivante dalla lesione di diritti fondamentali,
di  natura  non patrimoniale e percio’ in re ipsa. In ogni  caso  (la
censura e’ oggetto specifico del secondo motivo), erano acquisiti  al
processo  fatti  (come  il mancato godimento del  riposo  nel  giorni
festivi  e  la  mancata fruizione delle ferie)  idonei  a  costituire
presunzioni in ordine alla sussistenza del danno non patrimoniale.
7.1.  I  due motivi, unitariamente esaminati, vanno rigettati perche’
la sentenza impugnata, affermando che mancavano del tutto allegazioni
e  prova del danno non patrimoniale, si e’ conformata al principio di
diritto  secondo il quale il danno non patrimoniale  include  in  se’
tanto  il danno biologico quanto il danno morale, quanto, ancora,  il
danno esistenziale; quest’ultimo, a differenza del danno morale  (che
ha  natura  emotiva  e interiore) e del danno biologico  (subordinato
alla    lesione   dell’integrita’   psico-fisica   del    danneggiato
medicalmente  accertabile), consiste nel pregiudizio,  oggettivamente
accertabile,  che  l’illecito (nella specie, del  datore  di  lavoro)
abbia  cagionato  sul  fare  a-reddituale del  soggetto,  alterandone
abitudini  di  vita  e assetti relazionali che a  lui  erano  propri,
sconvolgendone  la  vita  quotidiana e privandolo  di  occasioni  per
l’espressione  e  la realizzazione della sua personalita’  nel  mondo
esterno; la natura risarcitorio/riparatoria (e giammai sanzionatoria,
non conoscendo il nostro ordinamento l’istituto della sanzione civile
o  pena  privata) del danno esistenziale postula che,  dello  stesso,
venga fornita la prova dall’istante, con riferimento non soltanto  al
fatto  costituivo  dell’illecito (nella specie,  l’inadempimento  del
datore  di lavoro), ma anche alle relative conseguenze (relativamente
cioe’ al quomodo la vicenda abbia inciso negativamente nella sfera di
vita  del  soggetto),  prova il cui onere puo’,  peraltro,  ritenersi
assolto attraverso tutti i mezzi che l’ordinamento processuale pone a
disposizione della parte, dal deposito di documentazione  alla  prova
testimoniale  a  quella per presunzioni. La mancanza  di  allegazioni
sulla   natura   e  sulle  caratteristiche  del  danno   esistenziale
impedisce, pertanto, al giudice ogni liquidazione, sia pur  in  forma
equitativa,   perche’  questa,  onde  non  trasmodare  nell’arbitrio,
necessita pur sempre di parametri oggettivi cui ancorarsi (Cass. sez.
un.,   24/03/2006,   n.  6572).  Di  conseguenza,   indipendentemente
dall’esito  degli  ulteriori accertamenti richiesti dall’accoglimento
del  quinto motivo, e’ infondata anche la pretesa al risarcimento del
danno  non patrimoniale per l’eventuale mancato godimento delle ferie
e dei riposi.
8.  Il  terzo  motivo  del  ricorso incidentale  denunzia  violazione
dell’art.  414 c.p.c., e vizio di motivazione per avere  la  sentenza
impugnata ritenuto non utilizzabile, ai fini della prova della natura
subordinata  gia’ del primo rapporto di lavoro domestico  per  alcune
ore  la  settimana, del verbale redatto dall’Ispettorato  del  lavoro
perche’  tardivamente depositato nel giudizio di primo  grado,  senza
considerare  che si trattava di documento formato in data  13  giugno
2001, successivamente al deposito del ricorso.
8.1.  Il  rigetto  dei motivi secondo e terzo, con  assorbimento  del
quarto, preclude l’esame di questo motivo del ricorso incidentale per
difetto di interesse.
9.  Conclusivamente,  sono  accolti i motivi  quinto  e  settimo  del
ricorso principale, sono rigettati i motivi secondo, terzo e sesto  e
dichiarati  inammissibili il primo e il quarto  motivo  dello  stesso
ricorso; e’ rigettato il ricorso incidentale. In relazione ai  motivi
accolti  la  sentenza impugnata e’ cassata con rinvio alla  Corte  di
appello  di  Cagliari  perche’ proceda ad un  nuovo  accertamento  in
ordine  ai  seguenti punti: a) se risulti comprovata, in tutto  o  in
parte,  il  mancato  godimento  delle  ferie  annuali  e  dei  riposi
settimanali e festivi da parte della    P.; b) se alle attribuzioni
patrimoniali ricevute dalla    P. nel corso del rapporto di  lavoro
possa  riconoscersi natura di retribuzione. Il giudice del rinvio  e’
incaricato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La  Corte riunisce i ricorsi. Accoglie i motivi quinto e settimo  del
ricorso  principale, dichiara inammissibili i motivi primo e  quarto,
rigetta i motivi secondo, terzo e sesto dello stesso ricorso. Rigetta
i  primi  due motivi del ricorso incidentale e dichiara assorbito  il
terzo motivo dello stesso ricorso. Cassa la sentenza impugnata  e in
relazione  ai due motivi del ricorso principale accolti e  rinvia  la
causa alla Corte di appello di Cagliari in diversa composizione anche
per la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro,
il 26 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2010

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