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Cambio di anno senza cambio di passo (di Roberta Bortone)

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Cambio di anno senza cambio di passo (di Roberta Bortone)

L’anno scorso di questi tempi provavo a tracciare un bilancio delle novità intervenute nel 2012 in materia di lavoro. Ora, invece, preferisco chiudere il 2013 con qualche considerazione sulle  prospettive in tema di lavoro per il nuovo anno, perché un bilancio di quello che sta terminando sarebbe solo un ripetere di pensieri demoralizzanti.

Mi sarebbe piaciuto poter commentare il Job Act proposto da Matteo Renzi, che in teoria si profila come l’unica novità all’orizzonte, ma di questa “novità” non si conosce quasi nulla se non alcune anticipazioni che lo fanno sembrare davvero poco nuovo. Da giurista preferisco di solito attenermi ai testi normativi, ma qui farò qualche commento sulle idee che dovrebbero sottostare a questo ennesimo intervento legislativo.

Circa la flessibilità in entrata, la disciplina dei licenziamenti e la lotta alla precarietà, non è chiaro se si parlerà del contratto unico con tutele che aumentano nel tempo – idea già proposta da Pietro Ichino – o più semplicemente si prevederà per legge un periodo di prova lungo. Nel primo caso molti sono gli interrogativi che si ripropongono, a partire da quello fondamentale: che cosa accadrà dei contratti di lavoro  a termine in atto al momento dell’entrata in vigore delle nuove regole? E che cosa accadrà per quei rapporti di lavoro “genuinamente” autonomi anche se continuativi? Saranno soppressi anche quelli?

E che dire delle anticipazioni sulla definitiva scomparsa della Cassa integrazione guadagni?  Certo, sarebbe utile prevedere una definitiva distinzione tra

lavoratori di fatto espulsi definitivamente dalle aziende e lavoratori sospesi dal lavoro ma con buone speranze di ritornare in attività, ma a patto d’introdurre per tutti strumenti di sostegno del reddito almeno pari, per durata ed importo, all’attuale CIG. Ci aveva già provato la Ministra Fornero, ma si era dovuta arrendere di fronte all’impossibilità di sostenere finanziariamente questo tipo di misura.

Consentitemi soprattutto una considerazione conclusiva: perché invece di discutere di nuove regole del lavoro non si comincia a fare qualcosa di concreto per creare lavoro, magari sostenendo l’innovazione e la ricerca nei settori qualificanti della nostra economia? Non è meglio rimandare i temi delle regole ad un momento diverso da quello attuale, nel quale il vero problema è il lavoro che non c’è?

 

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