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Sul principio di proporzionalità della sanzione disciplinare

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Sul principio di proporzionalità della sanzione disciplinare

Con Sentenza n. 9479 del 22 maggio 2020, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha affermato che il recesso irrogato ad un lavoratore per una condotta di insubordinazione durante uno sciopero deve considerarsi illegittimo in quanto sproporzionato.

IL FATTO- Un casellante impugnava innanzi al Tribunale competente il licenziamento che gli era stato intimato dalla società datrice per aver tenuto alzata, durante uno sciopero, la sbarra del casello impedendo, di fatto, all’azienda di incassare i pedaggi degli automezzi transitati durante il periodo di blocco. La Corte d’appello riteneva insussistenti gli estremi della giusta causa nel licenziamento intimato al lavoratore, affermando che la condotta posta in essere fosse configurabile come un atto di insubordinazione “e che peraltro esso non era tale da giustificare la sanzione espulsiva, avuto riguardo al contrasto tra l’ordine verbale del superiore gerarchico e precedenti difformi disposizioni scritte e allo stato di confusione che in tali condizioni poteva verosimilmente essersi generato nel lavoratore, senza che, tuttavia, l’episodio potesse inquadrarsi nella fattispecie di cui al comma 7 dell’art. 36 del C.C.N.L. di settore (Autostrade e Trafori), il quale prevede la sanzione della sospensione per il dipendente che, nell’espletamento della propria attività, non applichi le prescrizioni impartite dall’azienda attraverso direttive e disposizioni interne”.

Sulla base di tali considerazioni la Corte di appello faceva applicazione del regime di tutela di cui all’art. 18, comma 5, I. n. 300/1970, dichiarando conseguentemente risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannando la società al pagamento di una indennità pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto“.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione lamentando la mancata applicazione nella specie, da parte della Corte d’Appello, del citato comma 7 dell’art. 36 del citato CCNL in materia di sospensione.

LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che “la sentenza impugnata, diversamente da quanto dedotto, [prendesse] esplicitamente in considerazione l’ipotesi che la condotta del dipendente, oggetto di contestazione, possa essere ricompresa nell’ambito di applicabilità dell’art. 36, punto 7, del CCNL di settore”, statuendo che nel caso di specie non potesse assumersi “la semplice mancata applicazione di disposizioni di servizio”.

Pertanto, ritenendo di:

  • non poter aderire alla tesi proposta dal ricorrente, secondo cui ogni direttiva aziendale, consistente in ordini di fare e di non fare, anche espressa in forma orale, porterebbe, se inosservata, alla mera sospensione del dipendente”;
  • non poter applicare nel caso di specie l’istituto della reintegra , atteso che la norma collettiva prevede una mera sanzione conservativa soltanto in caso di espletamento dell’attività propria del dipendente in modo difforme da direttive e disposizioni aziendali, mentre al momento della commissione della condotta di insubordinazione questi non si trovava in servizio;

la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del casellante.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 9479 del 2020

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