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Sulla nozione di insubordinazione ai fini del licenziamento disciplinare

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Sulla nozione di insubordinazione ai fini del licenziamento disciplinare

Con Ordinanza n. 3277 dell’11 febbraio 2020 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha affermato che la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, dovendo implicare necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale.

IL FATTO- Un lavoratore veniva licenziato dopo aver abbandonato il posto di lavoro, a seguito di un pesante diverbio con il proprio Responsabile, per insubordinazione. In primo e secondo grado il lavoratore soccombeva. Ricorreva, pertanto, innanzi alla Suprema Corte di Cassazione.

LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione, in tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, ha affermato i seguenti principi:

  • la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario non dev’essere operata in astratto, ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo;
  • l’onere della prova del fatto contestato al lavoratore, che spetta al datore di lavoro, deve riguardare quindi la sussistenza di una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed, in particolare, di quello fiduciario;
  •  alla ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva non può conseguire automaticamente il giudizio di legittimità del licenziamento, ma occorre sempre che la fattispecie tipizzata contrattualmente sia riconducibile alla nozione di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore.

Pertanto – privilegiando una nozione ampia di insubordinazione per cui quest’ultima non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, implicando necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale – la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la bontà del licenziamento.

Il testo completo della decisione: Cassazione Civile, Sez. Lavoro, Ordinanza n. 3277 del 2020.docx

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