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Sul licenziamento del dipendente condannato in sede penale

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Sul licenziamento del dipendente condannato in sede penale

Con Ordinanza n. 28368 del 15 ottobre 2021, la Corte di Cassazione ha ribadito che costituisce giusta causa di licenziamento la condanna, anche non definitiva, del dipendente che abbia commesso condotte extralavorative penalmente rilevanti. 

IL FATTO – La Corte d’Appello di Napoli, in conformità alla sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda di un dipendente volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla società datrice di lavoro. In particolare, il lavoratore aveva ritenuto che il licenziamento per giusta causa, fondato sull’intervenuta sua condanna in sede penale, fosse contrario alla disposizione del contratto collettivo applicabile che richiedeva, ai fini della legittimità dello stesso, il passaggio in giudicato della sentenza.

Avverso la sentenza d’appello il dipendente ha proposto ricorso per Cassazione argomentando che in tali ipotesi dovrebbe trovare applicazione il principio generale di non colpevolezza (sino a condanna definitiva) sancito dall’art. 27 della Costituzione.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE– La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore e confermato la sentenza di secondo grado in quanto «il principio costituzionale della presunzione di innocenza attiene alle garanzie relative all’esercizio dell’azione penale e non può quindi trovare applicazione analogica o estensiva in sede di giurisdizione civile, con riguardo alla materia delle obbligazioni e dei contratti; in particolare, detta presunzione non osta all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa per comportamenti del lavoratore che possano altresì integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza che sia necessario, in tale evenienza, attendere la sentenza definitiva di condanna, restando privo di rilievo che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo in siffatta ipotesi». Inoltre, come statuito dal giudice d’appello in conformità alla giurisprudenza di legittimità «l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei. contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile sia idoneo a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (…); è bene rammentare in proposito che la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso, di talché tali condotte possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva ove siano presenti caratteri di gravità».

Il testo completo della decisione può essere estratto dal sito della Corte cliccando qui. 

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