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Sulla nozione di impresa familiare e sul requisito della continuità ai fini della partecipazione

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Sulla nozione di impresa familiare e sul requisito della continuità ai fini della partecipazione

 

Con Sentenza n. 11553 del 15 giugno 2020 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha chiarito che ai fini della partecipazione in un’impresa familiare non è richiesta una continuità di presenza in azienda, tuttavia è necessaria una continuità dell’apporto.

IL FATTO- La Corte di appello confermava la sentenza del Tribunale di prime cure che aveva rigettato la domanda con cui un lavoratore aveva chiesto, a decorrere dall’anno 1987/1988, il riconoscimento dei propri diritti di compartecipazione lavorativa nell’impresa familiare, avente ad oggetto la produzione di olio e la gestione di un frantoio, e l’assegnazione di una quota ideale degli immobili comuni quale divisione della comunione tacita familiare. In particolare, il Collegio riteneva coperto da giudicato il rigetto della domanda di accertamento dell’esistenza tra le parti di una comunione tacita familiare ed escludeva che fosse stata provata l’esistenza dei requisiti necessari per affermare la partecipazione del ricorrente nell’impresa agricola familiare. Dall’istruttoria era infatti emerso che “il ricorrente aveva avuto, nel corso degli anni, all’esterno il ruolo di finanziatore, garante fideiussore e di legale nei confronti di soggetti esterni su mandato del padre e del nucleo familiare mentre all’interno i rapporti potevano avere assunto connotazioni diverse, dalla società di fatto alla mera prestazione patrimoniale e finanziaria resa a titolo di affectio familiaris”.

LA DECISIONE DEL COLLEGIO-  La Suprema Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello, ha chiarito che la Corte territoriale  nel ricostruire l’istituto dell’impresa familiare ed i tratti della partecipazione alla stessa si era correttamente attenuta ai principi in materia per cui:

  • “ai sensi dell’art. 230 bis cod. civ. l’impresa familiare, ha carattere residuale in quanto mira a coprire le situazioni di apporto lavorativo all’impresa del congiunto (parente entro il terzo grado o affine entro il secondo) che non rientrino nell’archetipo del rapporto di lavoro subordinato o per le quali non sia raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione ed a confinare in un’area limitata il lavoro familiare gratuito (…). Per verificare l’esistenza dell’impresa familiare ed accertare la partecipazione alla stessa dei componenti della famiglia è necessario che risulti allegata e dimostrata sia l’esercizio di un’impresa ma soprattutto un’attività lavorativa e, se del caso, un corrispettivo erogato dal titolare così da consentire di distinguere il caso del lavoro subordinato da quello della compartecipazione all’ impresa familiare restando esclusa una causa gratuita della prestazione lavorativa per ragioni di solidarietà familiare (…)”;
  • “È ben vero che, ai sensi dell’art. 230 bis cod.civ., non è richiesta una continuità di presenza in azienda, tuttavia è necessaria una continuità dell’apporto (…)”.

Atteso che la Corte di merito ha aveva accertato in fatto che l’attività svolta dal ricorrente – il quale incontestatamente vive a Roma da molti anni dove esercita la professione di avvocato, non era compatibile con un coinvolgimento in posizione di dipendenza nell’impresa di famigliaescludendo che fosse risultato provato lo svolgimento di un’attività continuativa anche in regime di parasubordinazione (a tale conclusione la Corte di merito era giunta dopo aver verificato che era stato lo stesso ricorrente a descrivere il suo contributo all’ attività del padre come finanziatore dell’impresa di cui all’occorrenza si era fatto garante nei confronti di terzi creditori; consulente occasionale, in ragione delle sue specifiche competenze, trattando, laddove necessario con le banche, con l’agenzia per i finanziamenti per il mezzogiorno, con le imprese chiamate ad apportare migliorie ai fondi ed ai fabbricati sugli stessi insistenti. Una posizione non compatibile, sulla base delle allegazioni della stessa parte ricorrente e confermate dalle prove assunte, con la partecipazione ad un’impresa familiare nei termini e con le caratteristiche di residualità proprie dell’istituto“) – la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 11553 del 2020

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