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Sul calcolo dell’anzianità di servizio maturata prima della stabilizzazione

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Sul calcolo dell’anzianità di servizio maturata prima della stabilizzazione

Con Sentenza n. 9806 del 26 maggio 2020 la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha chiarito che in caso di stabilizzazione del lavoratore i periodi di lavoro a tempo determinato devono essere computati ai fini del calcolo dell’anzianità. 

IL FATTO- La Corte di Appello respingeva l’appello proposto dal CNR avverso la sentenza del Tribunale di prime cure che aveva accolto la domanda di una lavoratrice e dichiarato il diritto di quest’ultima al riconoscimento, ai fini della progressione stipendiale, dei periodi di servizio prestati in virtù di contratti a termine. In parziale  accoglimento del ricorso aveva inoltre condannato l’Istituto a pagare alla ricorrente le conseguenti differenze retributive maturate. L’Istituto proponeva ricorso innanzi alla Suprema Corte.

LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte ha ricordato che la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui stabilisce che «per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano condizioni oggettive», è stata più volte interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha evidenziato che:  a) la clausola (…)  esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato (…); b)il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta (…), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (…); c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (…); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro (…)“.

Sulla scorta di tali principi, atteso che anche nel caso di specie i ricorrenti si erano limitati a fare leva sull’autonomia dei singoli contratti a termine e sulla necessità di evitare discriminazioni in danno degli assunti a tempo indeterminato – circostanze che, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, non sono idonee a giustificare la totale esclusione dei periodi di lavoro a tempo determinato ai fini del calcolo dell’anzianità – la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

Il testo completo della decisione:Cassazione civile, Sez. Lavoro, Ordinanza n. 9806 del 2020

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