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La mancata corresponsione della retribuzione per un breve periodo non costituisce giusta causa di dimissioni

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La mancata corresponsione della retribuzione per un breve periodo non costituisce giusta causa di dimissioni

Con Sentenza n. 6437 del 6 marzo 2020, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ha affermato che la norma che prevede la sussistenza della giusta causa di dimissioni in caso di mancato pagamento degli stipendi dev’essere interpretata secondo buona fede e ragionevolezza. Pertanto, non può è sanzionabile l’inadempienza della società che si protrae per breve tempo.

IL FATTO- Un lavoratore ricorreva in giudizio, innanzi al Tribunale competente, al fine di ottenere il pagamento, da parte della società datrice, dell’indennità di mancato preavviso, a seguito delle dimissioni per giusta causa rassegnate in virtù della mancata corresponsione della retribuzione del mese di dicembre e della tredicesima mensilità. A fondamento della domanda, questi richiamava una norma del CCNL di riferimento.

Il Tribunale di prime cure accoglieva il ricorso, mentre la Corte d’Appello riformava la decisione di primo grado, sul presupposto che la momentanea inadempienza nel pagamento, coincisa temporalmente con la richiesta della società di ammissione al concordato preventivo, non integrasse un ritardo intollerabile del datore nell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico tale da legittimare le dimissioni del lavoratore.

LA DECISIONE DELLA CORTE- La Suprema Corte di Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello, ha affermato:

  • preliminarmente, che la giusta causa di recesso integra una clausola generale che richiede di essere valutata dall’interprete in base al caso concreto;
  • detta clausola debba essere interpretata in base ai canoni di correttezza e buona fede, nonché al principio della ragionevolezza.

Su tali presupposti il Collegio ha sostenuto che la breve inadempienza del datore non avesse leso l’esigenza posta dalle parti sociali a fondamento della clausola del CCNL invocata dal lavoratore.

Sulla scorta di tanto, dunque, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avanzato dal lavoratore.

Il testo completo della decisione: Cassazione civile, Sez. Lavoro, Sentenza n. 6437 del 2020

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