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Tribunale Pistoia: sulla funzione deterrente del danno non patrimoniale nel diritto antidiscriminatorio

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Tribunale Pistoia: sulla funzione deterrente del danno non patrimoniale nel diritto antidiscriminatorio

L’8 settembre il Tribunale di Pistoia ha emesso una sentenza che si porrà come un tassello decisivo nel diritto antidiscriminatorio, perché segna un passaggio importante nel rafforzamento delle tecniche di tutela per combattere le discriminazioni e darvi piena effettività.

Il caso riguarda due lavoratrici che agiscono in giudizio contro il proprio datore di lavoro, per le molestie sessuali da lui perpetrate nei loro confronti, al punto da indurre anche una delle ricorrenti alle dimissioni. Il datore di lavoro viene condannato al risarcimento del danno non patrimoniale.

Ma due sono gli aspetti di rilievo di questa sentenza: la diversa funzione espressamente attribuita dai giudici al risarcimento del danno non patrimoniale, e – in conseguenza di questa impostazione – il riconoscimento dello stesso a favore della Consigliera di parità, intervenuta nel giudizio a titolo proprio per ottenere la cessazione delle discriminazioni collettive (consistenti nelle molestie cui le lavoratrici venivano usualmente sottoposte) operate in azienda.

La diversa funzione attribuita al risarcimento del danno segna il passaggio da una finalità meramente rimediale ad una sanzionatoria e, soprattutto, deterrente avverso comportamenti discriminatori, con ciò segnando un passaggio importante nel rafforzamento delle tecniche di tutela del diritto antidiscriminatorio.

Come è noto, le tecniche di tutela possono essere di tipo preventivo, ripristinatorio o risarcitorio. Ma la condanna di un datore di lavoro a cessare un comportamento discriminatorio e a rimuoverne gli effetti, anche con piani di rimozione degli stessi elaborati dagli organismi di parità, non è uno strumento praticabile nel caso delle molestie, al verificarsi delle quali l’interesse tutelato dall’ordinamento – la dignità della persona – è già irrimediabilmente leso. Né possono essere prospettati piani di rimozione di tali comportamenti, essendo illeciti.

Per questo motivo, i giudici pongono l’accento sulla funzione deterrente che assume il riconocimento della liquidazione danno non patrimoniale a favore delle lavoratrici e della Consigliera di parità. Non più solo funzione risarcitoria quindi, come dogmaticamente è sempre stato interpretato nel nostro ordinamento il ristoro del danno morale, ma anche strumento di deterrenza avverso comportamenti discriminatori e molesti, come quelli tenuti dal datore di lavoro nel caso di specie.

I giudici lo dicono chiaramente, che il comportamento reiterato del datore di lavoro, peraltro verso lavoratrici precarie e in condizione di ulteriore debolezza rispetto a quella già caratterizzante qualunque dipendente, giustifica senz’altro l’attribuzione di una finalità sanzionatoria allo strumento rimediale del risarcimento del danno. E la funzione sanzionatoria e deterrente attribuita al risarcimento del danno in caso di discriminazioni è giustificata anche con il richiamo al dettato della normativa europea. “La fonte sovranazionale” – afferma il Tribunale – “attribuisce allo strumento rimediale del risarcimento del danno connotati necessari di effettività, essi tuttavia rapportati, non solo alla gravità del danno, ma anche alla funzione dissuasiva e sanzionatoria della qualificata riparazione”. E tale qualificazione del risarcimento del danno per i giudici non incide solo a prova dell’esistenza dell’an del danno risarcibile, ma anche ai fini della sua quantificazione, che dovrà tener conto di questa funzione.

Qui il testo della sentenza del   Tribunale di Pistoia dell’8 settembre 2012

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