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Furbetti della “104”: legittimo il licenziamento del lavoratore che utilizza i permessi con modalità fraudolenta

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Furbetti della “104”: legittimo il licenziamento del lavoratore che utilizza i permessi con modalità fraudolenta

I FATTI – Il datore di lavoro aveva scoperto, servendosi di un’agenzia di investigazione privata, che un proprio dipendente, anziché prestare assistenza al familiare per il quale aveva chiesto un permesso ex art. 33 della Legge 104/1992, aveva svolto attività varie di tipo personale (presso esercizi commerciali ed altri luoghi comunque diversi da quello deputato all’assistenza). Ne era quindi seguito il licenziamento disciplinare.

Il lavoratore aveva quindi impugnato il licenziamento ma il Tribunale adito lo aveva dichiarato pienamente legittimo.

Anche il successivo giudizio d’appello aveva, da un lato, confermato la legittimità del licenziamento ritenendo integrato un abuso del diritto previsto dall’art. 33 della L. 104/1992, in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integrante una condotta così grave da giustificare l’adottato provvedimento pur in assenza di precedenti disciplinari. Mentre, da un altro lato, la Corte distrettuale aveva avuto modo di precisare la legittimità dei controlli investigativi dal momento che erano stati finalizzati all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex L. 104/1992 e non avevano riguardato l’adempimento della prestazione

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE – Richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, nel confermare la decisione d’appello, ha osservato che i controlli, demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, riguardanti l’attività lavorativa del dipendente e svolti anche al di fuori dei locali aziendali, non sono preclusi ai sensi degli artt. 2 e 3 st. lav. purchè non abbiano ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, ma devono essere finalizzati a verificare comportamenti che possono configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590; Cass. 20 gennaio 2015, n. 848). Ciò in quanto la condotta assunta dal lavoratore:si palesa come lesiva della buona fede, privando ingiustamente il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nello stesso (legittimando, per tale ragione, il licenziamento) ed integra, nei confronti dell’Ente previdenziale erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.

Il testo completo della decisione: Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 4670 del 2019

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