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Consiglio di stato: legittima la risoluzione del rapporto di lavoro dei ricercatori con 40 anni anzianità contributiva

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Consiglio di stato: legittima la risoluzione del rapporto di lavoro dei ricercatori con 40 anni anzianità contributiva

N. 09439/2010 REG.SEN.

N. 04584/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4584 del 2010, proposto dal dott. xxx, rappresentato e difeso dagli avv.ti xxx e xxx, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via xxxcontro

l’Università Politecnica delle Marche e il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui domiciliano per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. MARCHE – ANCONA: SEZIONE I n. 00122/2010, resa tra le parti, concernente RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO DEI RICERCATORI CON 40 ANNI DI ANZIANITÀ CONTRIBUTIVA.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università Politecnica delle Marche e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’ordinanza della Sezione 16 giugno 2010, n. 2762;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2010, il Cons. Paolo Buonvino;

Uditi, per le parti, gli avv.ti xxxi e xxxe l’avv. dello Stato Basilica;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1) – Con la sentenza in forma semplificata qui impugnata il TAR ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento:

a – della delibera n. 373 del 6 ottobre 2009 con cui il Senato Accademico dell’Università Politecnica delle Marche ha deciso di adottare i criteri applicativi dell’art. 72, commi 7 e 11, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133, prevedendo, tra l’altro, che “per gli anni 2009, 2010 e 2011 verrà disposta la risoluzione, con un preavviso di sei mesi, del rapporto di lavoro dei ricercatori i quali abbiano maturato 40 anni di anzianità contributiva, fatta eccezione per i ricercatori responsabili di PRIN o di progetti di ricerca nazionali (a seguito di appositi bandi) o internazionali che siano in corso alla data della comunicazione e che siano ancora attivi alla data del termine di preavviso, per il solo periodo di durata del progetto e comunque non oltre i termini di legge”;

b) – della comunicazione del Rettore di detto Ateneo 9 dicembre 2009, prot. n. 29611, in base alla quale, in applicazione di tale criterio, è stata dichiarato che il rapporto di lavoro del ricorrente con l’Ateneo sarebbe cessato a decorrere dal 1° luglio 2010.

Hanno ritenuto, in particolare, i primi giudici:

– che in linea generale, le norme attraverso le quali è possibile il trattenimento in servizio oltre il 40° anno di età contributiva hanno carattere eccezionale e straordinario, dovendosi quindi applicare in modo rigoroso e senza possibilità di interpretazioni estensive;

pertanto, andavano condivise le ragioni che hanno ispirato l’Amministrazione a circoscrivere i casi in cui concedere eccezionalmente la proroga del rapporto di servizio;

– che, proprio perché trattasi di norma che deroga al regime ordinario, era da ritenere che la deroga di cui all’art. 72, comma 11, ultima parte del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, non potesse essere estesa anche ai professori aggregati, poiché tale titolo ha natura temporanea che coincide con la durata dei corsi e dei moduli curriculari affidati al ricercatore e, pertanto, non idoneo per pregiudicare le esigenze di continuità didattica che ispirano invece la disciplina invocata dal ricorrente;

– che, peraltro, dal curriculum allegato al ricorso emergeva che l’ultimo incarico di professore aggregato era stato conferito solo per l’anno accademico 2007-2008, pertanto detto titolo era cessato al momento di comunicazione del preavviso semestrale;

– che il preavviso di sei mesi era da considerarsi del tutto equipollente alla comunicazione di avvio del procedimento, disponendo l’interessato di tutto il tempo necessario per offrire elementi affinché l’amministrazione potesse eventualmente ritirare il preavviso e disporre la prosecuzione del rapporto.

2) – Per l’appellante la sentenza sarebbe erronea e dovrebbe essere riformata, anzitutto, in quanto il TAR non avrebbe fornito una corretta lettura della norma, che avrebbe avuto, nel suo progredire, carattere “ondivago” e che, se correttamente interpretata, non potrebbe trovare applicazione nei confronti del personale delle pubbliche amministrazioni il cui rapporto di lavoro – come nel caso dei ricercatori universitari – non è stato privatizzato; ad ogni buon conto, nella nozione di professori universitari rientrerebbero anche i ricercatori o, comunque, i professori aggregati svolgenti, come l’appellante, funzioni didattiche in termini di affidamento di un corso o di un laboratorio(altrimenti apparendo la norma affetta da illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.); né potrebbe dubitarsi della lesione del principio della continuità didattica, atteso che l’odierno appellante sarebbe stato incaricato per l’intero anno accademico 2009/2010; inoltre, dato che l’incarico sarebbe stato, negli anni, via via rinnovato con continuità, sempre per la stessa materia, non potrebbe dubitarsi del carattere stabilizzato di esso.

Deduce, poi, l’appellante l’erroneità della sentenza anche nella parte in cui ha ritenuto che non vi sia stata violazione dei principi normativi in tema di comunicazione dell’avvio del procedimento, non potendo supplire, in tal senso, il preavviso semestrale di recesso, avendo le relative disposizioni presupposti e funzioni differenti, tra loro non integrabili e sostituibili.

Il TAR, inoltre, avrebbe omesso ingiustificatamente di prendere in esame le censure di primo grado con le quali era stata dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per difetto di motivazione, illogicità e sviamento di potere, qui ribadite anche tenuto conto del loro carattere asseritamente assorbente; censure con le quali viene lamentata l’assoluta genericità dei criteri elaborati dal Senato accademico in vista dell’applicazione della norma in esame, che neppure terrebbero conto dell’interruzione dell’attività didattica al 1° luglio 2010 anziché al termine dell’anno accademico (31 ottobre).

Ove, infine – deduce, ancora, l’appellante – l’interpretazione della disciplina normativa in esame, da parte del TAR, fosse corretta, allora viene chiesta la rimessione alla Corte costituzionale della disciplina stessa per violazione dei principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost.

Si sono formalmente costituite in giudizio, resistendo, le Amministrazioni appellate.

3) – L’appello non merita accoglimento.

Come ricordato dallo stesso appellante in memoria, questa Sezione si è pronunciata in più di un’occasione, in sede cautelare (ordd. nn. 3254, 3260, 3270, 3820 del 2010), su vicende simili a quella in esame e, in particolare, sull’applicazione della norma di cui all’art. 17, comma 35 novies, del d.l. n. 78 del 1° luglio 2009, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102 (che sostituisce l’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112/2008, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133), pervenendo a conclusioni opposte rispetto a quelle qui fatte valere.

Tale norma prevede, invero, che, “per gli anni 2009, 2010 e 2011, le pubbliche amministrazioni di cui all’ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono, a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente, nell’esercizio dei poteri di cui all’ articolo 5 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici. ……………. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai magistrati, ai professori universitari e ai dirigenti medici responsabili di struttura complessa”.

La norma, quindi, appare applicabile a tutto il personale appartenente al pubblico impiego, indipendentemente dal carattere contrattualizzato o meno che lo lega alla P.A., con esclusione di tre specifiche categorie di personale, puntualmente individuate nei magistrati, nei professori universitari e nei dirigenti medici responsabili di struttura complessa.

Come correttamente rilevato dal TAR, si tratta di norma di carattere speciale, adottata in tema di risanamento della finanza pubblica, che non consente interpretazioni estensive della sua portata a categorie dalla stessa non puntualmente prese in considerazione laddove contempla l’eccezionale deroga ora detta.

Né può convenirsi con l’appellante nel ritenere che – come confermerebbe il travagliato iter della disciplina normativa di cui si tratta nel suo passaggio dalla originaria stesura del citato art. 72, comma 11, a quella attuale del d.l. n. n. 112/2008 – il personale destinatario della norma in questione sarebbe solo quello contrattualizzato, con esclusione, quindi, anche dei ricercatori universitari e dei professori aggregati; la norma, infatti, consente di “risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale”; quindi, essa appare volta a consentire non solo l’anticipata risoluzione contrattuale, ma anche, indipendentemente da questa, la risoluzione del rapporto di lavoro, indipendentemente dallo strumento (contrattuale o meno) che lo disciplina.

Tanto che, nella individuazione delle categorie eccezionalmente sottratte all’applicazione della norma, il legislatore ha ricompreso non solo talune, peraltro, ben circoscritte, categorie di personale non soggetto a contrattazione collettiva, ma anche quella dei medici responsabili di struttura complessa, il cui rapporto, al contrario, è disciplinato contrattualmente.

4) – Neppure può condividersi l’assunto secondo cui, con la dizione di “professori universitari”, il legislatore avrebbe inteso, invero, ricomprendere anche i ricercatori o, quanto meno, i professori aggregati, quale è l’appellante.

La norma, come si ripete, ha carattere speciale ed individua categorie puntualmente determinate; e quella dei professori universitari non può essere confusa con quella dei ricercatori in quanto, come, del resto, cennato dallo stesso odierno deducente, l’art. 1 del d.P.R. n. 382 dell’11 luglio 1980 ha chiaramente distinto il ruolo dei “professori universitari” (professori straordinari e ordinari da un lato, professori associati dall’altro) da quello dei “ricercatori universitari”.

Si tratta, quindi, di categorie diverse e ben delineate, che non possono essere accomunate nell’applicazione della disciplina normativa di cui si tratta se non a pena di una ingiustificata confusione tra categorie di personale universitario normativamente ben distinte.

Quanto ai professori aggregati, si tratta di una categoria particolare di personale appartenente al ruolo dei ricercatori, certamente non ricompresa nell’ambito categoriale dei professori universitari in senso proprio; il professore aggregato è, infatti, un ricercatore (o assistente del ruolo ad esaurimento o tecnico laureato o professore incaricato stabilizzato) cui, ai sensi dell’art. 1, comma 11, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e ricorrendone le condizioni indicate dalla norma, viene attribuito il titolo di professore aggregato per il solo periodo di durata del corso o modulo curricolare svolto, fermo restando, peraltro, il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico.

Non si tratta, quindi, di una nuova e diversa categoria docente, assimilata o assimilabile, per accesso alla carriera e funzioni, a quella dei professori universitari, ma, più semplicemente, di un titolo specificamente attribuito in presenza dell’espletamento – e per il solo periodo di espletamento – da parte di dette categorie di personale, di compiti didattici individuati dalla norma, ma senza alcun effetto sul piano giuridico ed economico e, quindi, dell’assimilazione alla categoria dei professori universitari in senso proprio.

5) – Né il differente trattamento riservato dal legislatore alle due categorie di personale ora detto può essere rivisto come manifestamente contrastante con i principi desumibili dall’art. 3 della Costituzione, in quanto le lamentate differenze di trattamento, che neppure discendono dagli assetti normativi del 2008/2009, bensì direttamente da quelli (neppure sospettati, dall’appellante, di illegittimità costituzionale) del 1980 e del 2005, poggiano sulle concrete differenze funzionali e di status esistenti tra le categorie dei professori universitari tout court e quella degli “aggregati”; con la conseguenza che, trattandosi di categorie logicamente e ragionevolmente differenziate, difetta il presupposto stesso per operare lo scrutinio di costituzionalità correlato al differente trattamento riservato dal legislatore a categorie tra loro oggettivamente equiparabili, facendo difetto, nel caso in esame, proprio siffatto requisito di equiparabilità.

6) – Quanto al fatto che l’Ateneo avrebbe, senza motivare, fornito semplice applicazione ai generici criteri dallo stesso posti a presidio dell’applicabilità della norma in questione, basti rilevare che i criteri stessi non appaiono affatto immotivati o irragionevoli, dal momento che forniscono sufficiente riscontro – sotto il profilo finanziario, correlato all’esigenza di non precludere l’accesso all’Università di nuovi ricercatori e di incrementare l’efficienza e l’efficacia del sistema universitario, tenuto conto della recente politica di settore – in merito alle ragioni ad essi sottese ed a quelle che hanno indotto ad escludere dall’applicazione della norma solo un limitato ambito di ricercatori.

In particolare, l’Ateneo ha considerato la progressiva riduzione del fondo di finanziamento ordinario destinato alle Università dalle recenti disposizioni legislative finanziarie; ha considerato quanto disposto dall’art. 2, comma 1, del d.l. del 10 novembre 2008, convertito in legge n. 1 del 9 gennaio 2009, che disponeva, a decorrere dal 2009, che una quota del fondo di finanziamento ordinario e di quello straordinario fosse ripartita prendendo in considerazione la qualità dell’offerta formativa, i risultati dei processi formativi e la qualità della ricerca scientifica; ha tenuto conto del fatto che parte del fondo destinato all’incremento dell’efficienza e dell’efficacia del sistema universitario era assegnato alle Università quale incentivo in relazione alla distanza accertata della spesa per il personale dal limite del 90% del FFO di cui all’art. 51, comma 4, della legge n. 449/1997; ha richiamato l’obiettivo dell’Ateneo stesso di assumere iniziative efficaci per favorire l’ingresso di giovani ricercatori; ha considerato che avrebbe dovuto essere messo a disposizione il 50% della copertura finanziaria di un ulteriore contingente di ricercatori da assegnarsi nell’ambito delle risorse previste, per il 2009, da parte del Ministero, dall’art. 1, comma 650, della legge n. 296/2006; ha preso in considerazione le direttive ministeriali evidenzianti, tra l’altro, l’opportunità che ciascuna amministrazione adottasse preventivamente criteri generali per regolare i trattenimenti in servizio e la risoluzione del rapporto di lavoro del personale dipendente, tenendo conto delle proprie esigenze, in modo da evitare condotte contraddittorie e incoerenti; sulla base di queste premesse, ha stabilito, tra l’altro, che, per gli anni 2009, 2010 e 2011, fosse disposta la risoluzione, con un preavviso di sei mesi, del rapporto di lavoro dei ricercatori che avessero maturato 40 anni di anzianità contributiva, fatta eccezione per i responsabili di PRIN o di progetti di cerca nazionali (a seguito di appositi bandi) o internazionali che fossero in corso alla data della comunicazione e fossero ancora attivi alla data del termine di preavviso, per il solo periodo di durata del progetto e comunque non oltre i termini di legge.

7) – Da rigettare è anche la censura con la quale viene lamentato il fatto che il TAR abbia ritenuto legittimo l’operato dell’Ateneo laddove non ha dato comunicazione dell’avvio del procedimento, essendosi limitato a dare il preavviso semestrale di cui si è detto, che non può essere confuso, in quanto avente distinte finalità, con la comunicazione di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990.

Basti rilevare, al riguardo, che, tra la notifica del preavviso ed il momento in cui la risoluzione del rapporto avrebbe avuto effetto è decorso un ampio periodo di tempo, nel corso del quale l’interessato aveva, comunque, la possibilità di far valere le proprie ragioni innanzi all’amministrazione e ciò che rileva, ai fini dell’invio di un valido avviso di procedimento, è che venga comunque fornita all’interessato una seria possibilità di interloquire con l’amministrazione stessa molto tempo prima che il provvedimento impugnato acquisisse efficacia; ciò che, nel caso in esame, il provvedimento in questione ha potuto, comunque, ampiamente assicurare.

8) – Merita accoglimento, invece, la domanda volta a procrastinare la cessazione definitiva dal servizio al 31 ottobre 2010; è in tale momento, infatti, che cessa l’anno accademico ed è con riguardo a tale momento, quindi – nell’ambito delle attività docenti universitarie che l’interessato, sia pure nella veste di professore aggregato, era chiamato a svolgere – che deve essere riferita la cessazione stessa dal servizio onde assicurare, tra l’altro, la necessaria continuità didattica.

Ne consegue l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha collocato l’odierno appellante a riposo alla data del 31 agosto 2010 anziché a quella del 31 ottobre 2010.

9) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto nei soli termini e limiti di cui al n. 8 che precede; per l’effetto, in riforma, sul punto, della sentenza impugnata ed in parziale accoglimento, quindi, del ricorso di primo grado, va annullato il provvedimento in quella sede impugnato nella parte in cui ha collocato l’odierno appellante a riposo alla data del 31 agosto 2010 anziché a quella del 31 ottobre 2010.

Le spese del doppio grado, anche in considerazione della reciproca soccombenza, possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato in primo grado nella parte in cui ha collocato l’odierno appellante a riposo alla data del 31 agosto 2010 anziché a quella del 31 ottobre 2010.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2010 e, in prosieguo, in quella del 10 dicembre 2010, con l’intervento dei magistrati:

Paolo Buonvino, Presidente FF, Estensore

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/12/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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