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Qualche precisazione sul “reddito di cittadinanza” (di Roberta Bortone)

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Qualche precisazione sul “reddito di cittadinanza” (di Roberta Bortone)

In questi giorni  si sta discutendo molto di quello che viene chiamato “reddito di cittadinanza”, misura di sostegno del reddito che probabilmente sarà inserita nella manovra economica che sta per arrivare alle Camere. A questo proposito, è necessario chiarire che, al di là del nome, il Governo non vuole introdurre un vero reddito di cittadinanza e mi affretto a spiegare i motivi di questa mia affermazione partendo da una distinzione tra “Welfare universalistico” e “Welfare lavoristico”.

l primo corrisponde ad un progetto politico che vuol sollevare dal bisogno tutti i cittadini , indipendentemente da ogni riferimento alla loro condizione lavorativa: secondo questa impostazione ogni persona maggiorenne,  per il solo fatto di essere cittadino/a, ha diritto a che lo Stato gli fornisca i mezzi minimi indispensabili alla sua esistenza. E’ in questo quadro che si può parlare di vero reddito di cittadinanza, sperimentato quasi esclusivamente nei Paesi scandinavi, dove il ridotto numero di cittadini, l’esistenza di bilanci statali in attivo e condizioni di piena occupazione di fatto hanno consentito per anni di remunerare anche l’ozio.

La misura di cui si parla per il nostro Paese non corrisponde a questo modello, ma a quello di un Welfare lavoristico in sintonia con i principi della Costituzione, tutti fondati sul lavoro e che pongono il lavoro come elemento fondamentale per lo sviluppo della dignità umana.

Infatti, secondo ciò che si legge comunemente la misura di cui si parla a proposito della prossima legge di bilancio dovrebbe essere strettamente collegata alla ricerca di un’attività lavorativa. Da questo punto di vista, perciò, il reddito di cittadinanza non si discosterebbe da un percorso tracciato da molti anni, di progressivo sviluppo di quelli genericamente definiti “ammortizzatori sociali”, nati  negli anni ’60 del secolo scorso per sostenere il reddito di quanti perdevano il lavoro per ragioni economiche.

Di questo scostamento dal modello universalistico sono contenta non solo perché continuo a dare valore al lavoro come fattore di integrazione ma anche perché, in un sistema come quello italiano, un reddito di cittadinanza indipendente dalla propensione al lavoro spingerebbe molte donne a rimanere inattive.

Per il merito del provvedimento, mi riservo ulteriori e più approfonditi commenti allorché si potrà leggere un testo articolato.

Comments

  • Mirella

    Bene finalmente un po’ di chiarezza grazie al riferimento di welfare lavoristico. Una domanda : si potrebbe ancora parlare di ammortizzatori sociali? Io penso di no perché questi sono legati ad un mercato del lavoro dell’epoca industriale forse fino alla sua crisi. Ma vorrei riflettere insieme.
    Grazie e ciao

    7 Novembre 2018

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