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Cassazione: sui requisiti della comunicazione preventiva in caso di licenziamenti collettivi per riduzione del personale

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Cassazione: sui requisiti della comunicazione preventiva in caso di licenziamenti collettivi per riduzione del personale

In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più ove proponga ai sindacati, nella stessa comunicazione e con riferimento alle misure idonee ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, la stipulazione di un accordo, derogatorio dei criteri legali di scelta dei lavoratori da licenziare, che fondi la selezione sul possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IANNIRUBERTO Giuseppe – Presidente

Dott. VIDIRI Guido – rel. Consigliere

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere

Dott. STILE Paolo – Consigliere

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato xxxxx, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato xxxxxx, rappresentata e difesa dall’avvocato xxxxxxx, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1958/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/10/2005 r.g.n. 1436/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2008 dal Consigliere Dott. VIDIRI GUIDO;

udito l’Avvocato xxxxxxxxx;

udito l’Avvocato xxxxxxxxx;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Abbritti Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

La sentenza di cui si domanda la cassazione rigetta l’appello di Poste Italiane SpA avverso la sentenza del Giudice unico del Tribunale di Benevento che dichiara illegittimo il licenziamento intimato dalla suddetta società a O.M. per riduzione di personale, con l’emanazione delle conseguenti statuizioni di condanna.

La Corte di appello di Napoli ritiene la comunicazione alle organizzazioni sindacali di avvio della procedura di riduzione del personale, sostanzialmente incompleta perchè priva di indicazioni specifiche in ordine alla collocazione aziendale e ai profili professionali dei lavoratori interessati. Tale incompletezza rendeva impossibile un effettivo controllo delle organizzazioni sindacali non solo sotto il profilo di coerenza dei criteri di scelta alla ratio del D.Lgs. n. 223 del 1991 ma anche in relazione alla effettive ragioni sottese alla riduzione del personale. Il ricorso di Poste Italiane SpA è articolato in sei motivi. O.M. si è costituita con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. 23 luglio 1991, n. 221, art. 4, comma 3, e vizio di motivazione, si deduce: a) la comunicazione era integrata dalla tabella recante la suddivisione degli esuberi per settore (recapito, sportelleria, staff/rete, crp, delp, cuas e direzioni generali) e, non essendo specificati profili professionali nel contratto collettivo, il riferimento alle aree professionali di inquadramento era sufficiente e funzionale alla riduzione di personale che l’azienda aveva deciso di attuare; b) l’accordo raggiunto con i sindacati doveva essere valutato non quale sanatoria di eventuale vizi della procedura, ma quale elemento significante la sufficienza delle informazioni relative alle esigenze aziendali e rilevanti sul piano della tutela dei lavoratori; c) non vi era prova che la pretesa insufficienza formale della comunicazione si fosse tradotta in ostacolo per l’attività di controllo dei sindacati; d) nella valutazione, in generale, del ruolo dell’accordo sindacale in relazione alle prescrizioni procedurali, è necessario tenere conto della ratio legis, che tali prescrizione impone al fine di consentire la massima estensione del controllo sull’esercizio del potere imprenditoriale e la riduzione dell’impatto sociale dei licenziamenti.

2. Con il secondo motivo è denunciato vizio di motivazione per non avere il Giudice di appello svolto alcuna indagine per verificare l’incidenza del preteso vizio formale sui poteri di controllo sindacale, incidenza certamente da escludere nel quadro di un’operazione di riduzione di personale preordinata alla riduzione, in generale, dei costi di gestione indipendentemente dai concreti profili professionali, e, proprio per l’esigenza di tutelare al massimo l’occupazione, diretta a licenziare solo gli aventi diritto a pensione.

3. Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, e vizio della motivazione, si afferma che la consultazione sindacale e il successivo accordo richiedeva proprio che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale coincidesse con la totalità degli occupati in azienda, derivando ciò dal criterio di scelta di minore impatto sociale adottato.

4. Con il quarto motivo la violazione di norme di diritto (L. n. 223 del 1991, art. 4 e 5, e art. 39 e 41 Cost.) e il vizio di motivazione sono riferiti al principio, che si assume chiaramente desumibile dalla sentenza impugnata, secondo cui sarebbe precluso all’imprenditore di operare una riduzione complessiva del personale per poi operare una nuova distribuzione e organizzazione per dislocazione geografica e professionalità, dovendo la riduzione riguardare esclusivamente i settori ritenuti in eccedenza di personale, principio che, oltre tutto, in relazione al criterio di scelta concordato, avrebbe comportato un numero di possibili licenziamenti nettamente inferiore a quello deciso dall’imprenditore.

5. Con il quinto e sesto motivo la violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24, e il vizio di motivazione sono individuati nella sostanziale estensione del sindacato giurisdizionale ai profili causali del licenziamento per riduzione di personale, mentre esclusiva rilevanza andava attribuita alla decisione imprenditoriale, contenuta nella comunicazione di avvio della procedura, di ridurre il costo del personale nelle sue varie componenti, attraverso sia la ridistribuzione territoriale delle risorse umane in relazione alle esigenze organizzative, sia, comunque, attraverso la riduzione del numero di addetti, entro livelli coerenti con la situazione economica e gestionale dell’azienda, il che significava coinvolgimento di tutti i profili professionali su tutto il territorio nazionale, senza potere limitare la comparizione tra i lavoratori al comprensorio regionale o ad un solo settore produttivo.

6. La Corte, esaminati unitariamente i motivi di ricorso per la connessione tra le diverse censure, li giudica fondati nei sensi e nei limiti delle considerazioni seguenti.

7. Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza nella Corte nell’interpretazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni (legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, così come modificata dalla più recente direttiva 1992/56):

a) come precisato da Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455 e dalle conformi decisioni successive, la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell’operazione imprenditoriale di “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l’altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorchè plurimi, qualora siano presenti i requisiti di rilevanza sociale in presenza degli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell’art. 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un’impresa che ha ottenuto l’intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell’art. 4, comma 1). b) La fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. n. 223 del 1991, non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell’attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l’organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell’azienda (Cass. 27 aprile 1992, n. 5010; 5 maggio 1995, n. 4874;

21 ottobre 1999, n. 117940). c) Nel disegno legislativo, la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post e a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal Giudice (tanto è vero che la riduzione di personale “ingiustificata” non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento). d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41 Cost., commi 2 e 3, che l’imprenditore sia vincolato non nell’an della decisione ma nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all’art. 4, procedura che si risolve in una procedimentalizzazione del potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l’operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l’organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal “nesso di causalità”, ossia dalle esigenze tecnico – produttive ed organizzative (arg. ex art. 5, comma 1, primo periodo);

d) ai due livelli descritti, l’uno collettivo – procedurale, l’altro individuale – causale, corrisponde l’ambito del controllo giudiziale, cui è estraneo, come detto, la verifica dell’effettività delle ragioni che giustificano la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999; 11455/1999; 2463/2000; 9045/2000; 6385/03;

13182/2003; 9134/2004; 10590/2005), ed il sistema sanzionatorio di cui all’art. 5, cosicchè il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri di scelta (annullamento del licenziamento).

8. Nella controversia viene in diretta considerazione il disposto dell’art. 4, comma 3, nella parte in cui prescrive che la comunicazione preventiva per iscritto ai sindacati deve contenere, oltre all’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza e l’impossibilità di altre soluzioni, la precisazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonchè del personale abitualmente impiegato, nonchè delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma di messa in mobilità.

La sentenza impugnata, dopo avere affermato, in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza della Corte, che le violazioni della procedura (consistenti, in particolare, nell’insufficienza delle informazioni date alle organizzazioni sindacali) hanno effetti lesivi (anche) dei diritti individuali, con la conseguente irrilevanza, su questo piano, degli accordi sindacali comunque raggiunti (cfr. Cass. S.U. n. 302 e 419 del 2000; Cass. 15377/2004), ha ritenuto che non fosse stato adempiuto l’onere di indicare la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente.

Ritiene la Corte, sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dallo stesso giudice di merito e pacifici nella controversia, la non conformità della decisione al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ed ai principi riassunti sub n. 7.

Ritiene, di conseguenza, di doversi discostare dal precedente costituito da Cass. 11 luglio 2007, n. 15479, che, decidendo su controversia analoga, ha rigettato il ricorso di Poste Italiane SpA essenzialmente sul rilievo che il Giudice del merito aveva correttamente assolto il compito istituzionale di accertare il fatto della insufficienza della comunicazione preventiva di avvio della procedura. Peraltro, il diverso segno del rigetto del ricorso dei lavoratori, nella vicenda dei licenziamenti derivati dalla stessa riduzione di personale, è presente in altre decisioni della Corte (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; 14 giugno 2007, n. 13876, non massimata).

9. L’azienda postale aveva avviato la procedura di mobilità motivandola con l’esigenza di ridurre i costi mediante l’attuazione di una riduzione complessiva di personale; aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalità impiegate e l’intero territorio nazionale, facendo altresì presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione. Si preannunciava altresì, dopo i licenziamenti, una riorganizzazione del lavoro soprattutto mediante mobilità geografica del personale. La comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava, quindi, il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica.

La sentenza impugnata giudica, sotto questo specifico profilo, insufficiente il contenuto della comunicazione preventiva perchè il necessario nesso causale tra le “esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale” e i licenziamenti progettati non risultava in alcun modo precisato, non essendo idoneo a colmare la lacuna il criterio di scelta poi concordato con i sindacati (possesso dei requisiti per la pensione), criterio che presupponeva il nesso indicato e avrebbe giustificato i singoli licenziamenti fino a concorrenza del numero complessivo determinato dalle esigenze tecnico produttive ed organizzative. Specificamente, l’insufficienza dei contenuti della comunicazione è ravvisata nella mancanza di indicazioni “in ordine alla specifica collocazione nei diversi uffici locali e profili professionali”, o “concrete posizioni lavorative”, del personale ritenuto eccedente, lacuna non colmata dal riferimento generico alle quattro aree contrattuali di inquadramento, ciascuna comprendente “professionalità estremamente varie ed eterogenee” (visto che vi erano state raggruppate le qualifiche funzionali e i numerosi profili professionali del precedente ordinamento pubblicistico) senza precisare quali, tra le posizioni professionali all’interno di ciascuna area, fossero da ritenere eccedenti.

In definitiva, secondo la valutazione del Giudice del merito, Poste italiane aveva l’onere di specificare l’eccedenza ufficio per ufficio, con riguardo al settore di attività e alla dislocazione territoriale, indicando gli addetti alle mansioni concrete ritenute non più utili per l’organizzazione.

10. Così decidendo la sentenza impugnata ha violato le disposizioni della L. n. 223 del 1991, art. 1 e art. 4, comma 3. a) L’art. 1, perchè ha negato, al di là dei profili formali sui quali apparentemente si incentra la motivazione, la facoltà di Poste Italiane SpA, che svolge l’identica attività produttiva sull’intero territorio nazionale, di decidere il ridimensionamento dell’impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale ed al fine di ridurre i costi di gestione, determinando le eccedenze in un certo numero di lavoratori regione per regione e per area di inquadramento professionale, così sottoponendo a sindacato la scelta imprenditoriale e finendo, nella sostanza, per considerare ingiustificata una riduzione di personale così progettata, in violazione del complesso dei principi richiamati sub n. 7. b) L’art. 4, comma 3, perchè la sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si deve necessariamente valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che determinano l’eccedenza e alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l’impatto sociale dei licenziamenti.

11. Pertanto, in applicazione dei principi di diritto sopra precisati, il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda postale imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonchè per aree geografiche, anche in vista delle conseguenti necessità di una nuova distribuzione geografica del personale e di una riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stato coerente l’indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la “collocazione” dei dipendenti da licenziare con l’intero complesso aziendale; nè avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.

D’altra parte, il riferimento legislativo ai “profili professionali” va inteso si in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie (art. 2095 e 2103 c.c.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica di inquadramento, ma ciò non significa certo richiedere l’indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioè delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, se il Giudice di merito aveva accertato che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per “aree funzionali”, ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni, non si comprende perchè l’indicazione dell’area di appartenenza non sarebbe indicazione dei “profili professionali” (di totale incongruenza si palesa, poi, il riferimento al superato sistema di classificazione del personale presso l’azienda autonoma statale, prima della privatizzazione dei rapporti di lavoro).

12. Anche la proposta di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offre elementi di giudizio utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva.

Il detto criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994, è ritenuto dalla giurisprudenza della Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; 24 aprile 2007, n. 9866) ed è ora consacrato a livello legislativo dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3. Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul detto criterio erano appunto costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aeree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici: altrimenti, l’intera operazione sarebbe stata compromessa dalla necessità di individuare una platea di interessati alla riduzione di personale più ristretta (sul piano della dislocazione geografica o dell’eccedenza in singoli settori), con conseguente impossibilità di applicare in via esclusiva il criterio proposto ai sindacati.

Anche questo aspetto induce a ritenere sufficienti i contenuti della comunicazione di avvio della procedura, procedura sfociata poi nell’auspicato accordo sindacale.

13. Il ricorso va quindi accolto sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più ove proponga ai sindacati, nella stessa comunicazione e con riferimento alle misure idonee ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, la stipulazione di un accordo, derogatorio dei criteri legali di scelta dei lavoratori da licenziare, che fondi la selezione sul possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione”. 14. La cassazione della sentenza impugnata per violazione di norme di diritto comporta la decisione nel merito della causa (art. 384 c.p.c., comma 1), non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con la pronuncia di rigetto della domanda proposta contro Poste Italiane SpA. 15. Il difforme esito dei giudizi di merito e le incertezze rilevate anche in seno alla giurisprudenza della Corte inducono a compensare per giusti motivi le spese dei giudizi di merito e di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta da O.M. contro Poste Italiane SpA. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2008.

Depositato in cancelleria il 9 gennaio 2009

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