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Il bacio di Giuda

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Il bacio di Giuda

Nella fabbrica del cioccolato non si sperimentano solo nuove leccornie, ma anche nuove modalità di contrattazione.

La Nestlé Italia ha proposto ai lavoratori dello stabilimento della Perugina di San Sisto un “patto generazionale”, che prevederebbe (il condizionale è d’obbligo non essendoci traccia del documento) la riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 30 ore settimanali.

L’idea è quella di consentire ai circa 1000 lavoratori di vedersi trasformato il contratto di lavoro da full-time in part-time in cambio dell’assunzione dei figli con un contratto di apprendistato, anch’esso in regime di part-time.

Un modello, anche questo, importato dalla Germania, in cui l’assunzione dei figli nelle aziende è avvenuta in cambio di una maggiore flessibilità di quei lavoratori prossimi alla pensione.
Questo scambio, secondo Gianluigi Toia, responsabile delle relazioni sindacali, rappresenta «la possibilità, se competenze e formazione sono adeguate, per dare una mano al budget familiare in un momento di forte crisi economica. Abbiamo bisogno di nuove forze e di nuovi entusiasmi, ma l’allungamento dell’età pensionabile non ci aiuta. Così abbiamo cercato di far quadrare il cerchio, di cercare nuove opportunità all’interno della nostra realtà».

Il cambiamento sarà, quindi, su base volontaria e, allo stesso tempo, l’impegno ad assumere il figlio del dipendente sarà subordinato al fatto che il giovane abbia un profilo professionale adatto alle esigenze della produzione.

Così in ciascuna famiglia potranno lavorare in due o addirittura in quattro se a lavorare presso lo stabilimento di San Sisto sono entrambi i genitori. E tutto questo senza doversi necessariamente allontanare da casa.

Un’operazione destinata, probabilmente, ad avere un sicuro successo in un contesto economico-produttivo come quello italiano, in cui l’unica certezza, come rilevato anche dai recenti dati dell’Ocse, è data dalla dilagante disoccupazione giovanile.

Bella idea, ma il dubbio incalza.

Al di là dei problemi pratici che comporta la realizzazione di tale iniziativa (cosa accadrà al contratto part-time del padre se il figlio non verrà confermato ovvero cesserà dal rapporto prima del periodo di formazione?), il vero interrogativo è se sia, davvero, sufficiente favorire l’ingresso di giovani “di primo pelo” (perché tali sono gli apprendisti) per aumentare la produttività, favorire l’innovazione e rendere competitiva un’azienda nei mercati mondiali.

O se sia vero il contrario. E cioè che solo attraverso una politica di investimenti si favorisce e si crea nuova occupazione e non solo giovanile.

In Germania, d’altronde, sono stati gli investimenti di oltre 265 milioni di Euro da parte della Nestlè a favorire una massiccia occupazione giovanile e non la ingenerosa offerta “due al prezzo di uno”, finalizzata ad accrescere la manodopera riducendo i costi del lavoro.

Perché quella prospettata dalla Perugina è una operazione promozionale “sottocosto” o “fuori tutto”, tipica di un inserto commerciale.

Se si riducono le ore di lavoro dei padri e quindi la retribuzione e quindi la pensione e poi si assumono giovani con contratto di apprendistato, oltretutto part-time (la retribuzione così è doppiamente ridotta), non sarà azzardato dire che gli unici a sopportare i sacrifici saranno ancora una volta i lavoratori. La vera consolazione è che non saranno soli i giovani, ma anche i loro padri.

E’ questo il “patto generazionale” auspicato dall’azienda: padri e figli insieme nella sventura.

A ben vedere, non si può frettolosamente dire, col rischio di essere poi smentiti, se quello proposto dalla Nestlè-Perugina sia un “patto generazionale” o un “patto scellerato”.

E’ pur vero, però, che la tanto decantata occupazione giovanile di “qualità” attraverso il contratto di apprendistato, non si crea sottraendola, o meglio riducendola, agli altri. Questa nuova occupazione potrà valere al più ai soli fini statistici.

Offrire assunzioni a fronte di un sacrificio generazionale può rappresentare sì un’utile e finanche necessaria soluzione, ma purchè abbia carattere temporaneo e contingente.

L’affrontare una crisi endogena solo attraverso una riduzione dei costi di gestione del personale (perché di questo si tratta) non sarà di per sé sufficiente a sopperire l’assenza di un piano commerciale strategico di rilancio dell’azienda.

L’obiettivo primario di un’azienda non può essere quello di sezionare chirurgicamente il lavoro e ridistribuirlo tra padri e figli.

L’incremento di produttività non si persegue solo a colpi di restyling dei modelli organizzativi di lavoro o attraverso l’introduzione di forme contrattuali innovative (o di massicce dosi di formazione), se non si realizza, contemporaneamente, una seria politica industriale fatta di investimenti, di innovazione e di tecnologia.

Ed allora, se tutto questo è l’effetto diretto o collaterale della crisi globale, ben vengano soluzioni, proposte e iniziative, che siano innovative e durature nel tempo e purchè non ci si accontenti di quella “meno peggio”.

Perché a ben vedere quello che ci offrono i maestri della cioccolata non è solo il “bacio” della discordia, ma il “bacio” della consolazione per una generazione perdente, demotivata e rassegnata, che non segue le proprie aspirazioni e i propri sogni, ma che si accontenta di un posto di lavoro che prima o poi i loro genitori, con la vecchiaia che incalza, dovranno lasciare in eredità.

Se questa è la solidarietà tra generazioni che vogliamo, dovremmo avere la coerenza di non scandalizzarci di fronte a pratiche di nepotismo in uso nella nostra società. Nè ci si potrà lamentare se l’ascensore sociale resta bloccato al piano terra per chi, figlio di operaio, sarà costretto ad emigrare se non vorrà rassegnarsi a calcare le orme del proprio padre.

Vi ricordate il caso Gennarino, in cui al figlio di un manovale rimasto vittima di un incidente il Tribunale di Milano nel 1971 risarcì il danno alla persona assumendo come parametro il reddito di un manovale, posto che si riteneva che il figlio avrebbe seguito la via intrapresa dal padre?

Da allora, sembra, che poco sia cambiato.

Avv. Stefano Salvato

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